Premio di risultato 2026: cosa cambia per il welfare
5 novembre 2025
Rilanciare sul bonus di conversione, ma soprattutto dotarsi di un welfare ad altissimo grado di personalizzazione e spendibilità per reggere la concorrenza del denaro contante. Se si guarda alle novità introdotte dalla Legge di bilancio 2026 in tema di premi di risultato, la via per le aziende sembra tracciata in modo piuttosto netto. Nel testo firmato dal Consiglio dei ministri in ottobre e che proprio in questi giorni inizia il suo iter di approvazione parlamentare, è infatti prevista per i premi di produttività una tassazione agevolata all'1% - rispetto all'attuale 5% - che non porta alcun vantaggio al datore di lavoro, mentre riduce per i dipendenti la differenza che passa tra l'incassare il premio in busta paga e il convertirlo in welfare.
Tassazione del premio di risultato all'1%: facciamo due conti
In un articolo pubblicato a fine ottobre sul Bollettino Adapt, la ricercatrice Silvia Spattini ha calcolato nel dettaglio che cosa cambia per azienda e per i dipendente se applichiamo a un premio di risultato da 1000 euro l'attuale tassazione al 5%, quella futura all'1% o se lo trasformiamo in welfare.
Con la trasformazione in welfare, il costo per il datore di lavoro è di 1000 euro e il valore incassato dal dipendente è di 1000 euro.
Con la "vecchia" tassazione al 5% il costo a carico del datore di lavoro è di 1300 euro, mentre l'importo netto incassato dal dipendente è pari a 862,70 euro. Questo al netto della tassazione stessa, che pesa per 45,41 euro, e dei contributi sociali, che si portano via 91,90 euro.
Con la nuova tassazione all'1% il costo a carico del datore di lavoro rimane di 1300 euro, mentre l'importo netto incassato dal dipendente sale a 899,02 euro, quindi 36,32 euro in più rispetto al sistema precedente. I contributi sociali continuano infatti a prendersi 91,90 euro, mentre la tassazione scende a 9,08 euro.
Dati alla mano, per il dipendente anche con la nuova tassazione agevolata la conversione del premio di produttività in welfare rimane comunque più conveniente: scegliendo questa opzione, su 1000 euro si ritroverà in tasca 100 euro in più in beni e servizi rispetto al pagamento in denaro. Ma in termini relativi questa convenienza si è appunto assottigliata, visto che col vecchio sistema la differenza di valore era di ben 137 euro.
Guardiamo la cosa dal punto di vista dell'azienda
Nulla cambia invece per il datore di lavoro, che in ogni caso risparmia 300 euro se il dipendente opta per il welfare. Ma che a questo punto potrebbe fare un po' di fatica in più a convincere il proprio personale a fare questa scelta.
Come segnala anche Silvia Spattini nella sua analisi, essendo il vantaggio della conversione storicamente maggiore per l'azienda, è già prassi che questa scelta venga incentivata con il cosiddetto "premio di conversione", cioè con l'assegnazione di un importo in welfare più alto rispetto a quello concesso in contanti. Facile immaginare che la nuova tassazione agevolata eserciti una pressione su questi bonus, rendendoli più corposi. A spese dell'azienda, naturalmente.
C'è però un'altra leva su cui il datore di lavoro può agire senza che questo comporti costi aggiuntivi. Per sfruttarla, occorre andare alle radici della questione: che cos'è che spinge i dipendenti a scegliere il contante rispetto al welfare, quando questo comporta di fatto una perdita di valore di 100 euro (più eventuale bonus)? Tipicamente, il timore che il welfare sia difficile da spendere o che non possa essere speso dove si vuole.
Se non si vuole ridurre il proprio margine, sarà allora cruciale scegliere una soluzione di welfare che favorisca la spendibilità, magari grazie a una carta di credito abbinata a una app che integra tutte le opzioni di spesa. E che al tempo stesso offra la maggior flessibilità possibile in termini di personalizzazione, per esempio attraverso una rete di oltre 80mila negozi fisici e online dove è possibile spendere il proprio credito.
Proprio come fa Tundr ;-)
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