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4 domande sul welfare a Silvia Spattini, ricercatrice Adapt

13 ottobre 2025

a man wearing glasses and a black shirt

Autore

Marco Valsecchi

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Relazioni industriali tra dipendente e datore di lavoro
Relazioni industriali tra dipendente e datore di lavoro
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I numeri dicono che il welfare ricopre un ruolo sempre più centrale nella contrattazione tra aziende e parti sociali, ma anche nell’esperienza di chi lavora. Dei 132 contratti collettivi nazionali di lavoro rinnovati tra il 2022 e il 2024, il 29% prevede l’erogazione di flexible benefit, il 40% include la previdenza complementare e il 43% l’assistenza sanitaria. Mentre spostandosi sul secondo livello di contrattazione si osserva come su 1.301 accordi aziendali contenuti nella banca dati di Adapt, l’Associazione per gli Studi internazionali e comparati sul Diritto del lavoro e sulle relazioni Industriali, ben il 47% preveda almeno una misura di welfare per i dipendenti.

In occasione della pubblicazione dell’ottavo rapporto ‘Il welfare occupazionale e aziendale in Italia’ realizzato da Adapt e Intesa Sanpaolo, da cui sono tratti questi dati, abbiamo posto quattro domande alla ricercatrice Silvia Spattini per inquadrare quali sono le direttrici lungo le quali si muove questo cambiamento e come le nuove norme in materia di trasparenza retributiva potrebbero portarlo sotto i riflettori anche nel discorso pubblico sul lavoro.


Il welfare è sempre più presente all'interno dei CCNL: che cosa sta cambiando dal punto di vista delle relazioni industriali?

Nella contrattazione nazionale, in aggiunta agli elementi tradizionali di welfare come la previdenza complementare e l’assistenza sanitaria integrativa, si registra sempre di più l’introduzione del welfare aziendale, soprattutto nella forma del credito welfare.

Questa componente, che ha innegabilmente costi più sostenibili rispetto alla retribuzione monetaria, entra accanto agli aumenti tabellari: da “lavoro contro retribuzione”, lo scambio contrattuale si evolve così in “lavoro contro retribuzione e welfare”.

D’altra parte chi si occupa di selezione segnala che le richieste dei lavoratori, in particolare da quelli quelli più giovani, non sono più incentrate solo sulla retribuzione, ma anche su altri aspetti. A partire da una flessibilità oraria ampia e da una conciliazione vita privata-lavoro che va oltre la cure ai familiari per diventare personale e legata alla possibilità di svolgere anche altre attività, fino, appunto, alle misure di welfare aziendale


Dal punto di vista della ricerca, in questo contesto di evoluzione del sistema quali sono le aree di studio su cui ci si sta concentrando?

Il tema delle politiche abitative è piuttosto nuovo e molto seguito, per le risposte che dà alle esigenze dei lavoratori, ma anche dei datori di lavoro, poiché le difficoltà di trovare alloggi impatta sulla possibilità di reclutare lavoratori. Stiamo assistendo alla nascita di iniziative private, ma anche a interventi basati sul rapporto pubblico-privato. Gli esempi sono tanti: dall’albergatore che costruisce una struttura per alloggiare gli stagionali al bando pubblico che consente alle aziende di finanziare la ristrutturazione di appartamenti di proprietà pubblica, ottenendo in cambio la possibilità di farci vivere i propri dipendenti per qualche anno.

E non dimentichiamo il tema del "welfare aziendale territoriale”, che cerca e crea sinergie con il territorio circostante facendo incontrare a livello locale la domanda e l’offerta di servizi di welfare. Per esempio con prestazioni erogate da strutture come centri fisioterapici o cooperative che offrono servizi di cura per bambini e anziani.


Nel discorso pubblico a prendersi la scena è però soprattutto la RAL. Nel 2026 verrà recepita la direttiva Ue sulla trasparenza salariale: ci sono obblighi anche per il welfare?

La direttiva specifica che quando si parla di trasparenza retributiva il concetto di retribuzione va inteso in senso ampio e comprensivo di tutti i vantaggi offerti al lavoratore: anche i beni e servizi pagati in natura. Quindi anche il welfare rientra nella trasparenza retributiva, dovrà essere esplicitato e acquisirà una maggiore rilevanza. Questo, tra l'altro, penso possa essere positivo anche per le aziende, non solo per i lavoratori.


Quali vantaggi può portare una maggiore consapevolezza rispetto al tema del welfare aziendale e chi può giocare un ruolo decisivo in questo senso?

La comunicazione ai lavoratori del welfare a cui possono avere accesso e dei relativi vantaggi è fondamentale. A partire da quello contrattuale: per esempio, il datore di lavoro versa contributi per l’assistenza sanitaria, ma non sempre il lavoratore è consapevole delle prestazioni aggiuntive di cui gode. A informarlo dovrebbero essere i sindacalisti e l’azienda, che non ha solo un interesse etico e sociale in questo senso: c’è anche un interesse economico, visto che il benessere organizzativo derivante dal benessere e dalla soddisfazione dei lavoratori impatta su produttività e risultati.

A livello pratico, nel momento in cui viene implementato un piano welfare non solo è importante partire dai bisogni delle persone, ma occorre verificare la conoscenza che i lavoratori hanno rispetto al piano stesso. Solo se ci sono conoscenza e consapevolezza il piano di welfare potrà raggiungere gli obiettivi prefissati e avere, in ultima analisi, un impatto positivo su lavoratori e impresa.

Per approfondire, leggi le nostre guide:
Welfare e contratti: quali CCNL prevedono benefit obbligatori
Flexible benefit: vantaggi ed esempi pratici
Come si scrive un regolamento welfare

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