Quattro domande sul futuro del lavoro a Silvia Zanella
10 novembre 2025
Manager, esperta di marketing e comunicazione per le risorse umane, ma anche autrice per diverse case editrici e curatrice della collana ‘Voci del lavoro nuovo’ per FrancoAngeli. Silvia Zanella è una delle voci più autorevoli nel panorama italiano quando si parla di employer branding, employee experience e people culture. Tutti temi che sappiamo essere strettamente intrecciati all’uso che le aziende possono fare degli strumenti di welfare per aumentare il benessere organizzativo al proprio interno.
A pochi mesi dall’uscita per Bompiani del suo ultimo saggio, ‘Basta lavorare così’, la abbiamo raggiunta per parlare di come sta cambiando il rapporto tra le aziende e le persone che ci lavorano. Ma anche di come le stesse aziende possono e devono comunicare il cambiamento in atto.
Nella collana ‘Voci del lavoro nuovo’ hai inserito il volume ‘Cura’ scritto da Riccarda Zezza. Cosa vuol dire prendersi cura di qualcuno in ambito lavorativo?
La cura sta finalmente emergendo nel mondo del lavoro come competenza strategica e valore fondante. Dopo anni in cui è stata relegata alla sfera privata o femminile, oggi la riscopriamo come leva di sostenibilità, coesione e innovazione. Nella mia collana ho voluto con forza inserire questo tema perché penso sia davvero una capacità che ogni leader dovrebbe coltivare. Cura è ascolto, responsabilità, empatia.
È la capacità di prendersi carico non solo dei risultati, ma delle persone. È un atto rivoluzionario, che cambia il modo in cui lavoriamo e viviamo. E che ci ricorda che il lavoro non è solo fare, ma anche prendersi cura. In un’epoca in cui la tecnologia accelera e i confini tra vita e lavoro si fanno sempre più labili, la cura diventa la bussola per orientarsi e costruire relazioni di fiducia, benessere e senso.
Nel tuo ultimo saggio approfondisci il rapporto tra vita privata e lavoro: perché le aziende dovrebbero preoccuparsene e con quali strumenti?
Le aziende dovrebbero preoccuparsi dell’equilibrio vita-lavoro perché il benessere delle persone è il vero indicatore di salute organizzativa. Non si tratta solo di etica o di generosità, ma di strategia di lungo periodo: persone stanche e disconnesse non generano valore. Investire in benessere riduce turnover, assenteismo e aumenta produttività e innovazione. Oggi, la sicurezza psicologica è fondamentale: solo in ambienti sicuri le persone esprimono idee e creatività.
Strumenti utili sono la flessibilità oraria e di luogo, il welfare aziendale, l’ascolto attivo, spazi accoglienti, una leadership basata su fiducia e responsabilizzazione. L’equilibrio non è statico, ma va costruito insieme, adattando strumenti e cultura alle esigenze reali di chi lavora. Le aziende più evolute stanno sperimentando modelli di lavoro ibrido, settimane corte, benefit personalizzati e percorsi di ascolto continuo. Il vero salto di qualità avviene quando si passa dalla retorica delle “persone al centro” alla pratica quotidiana di attenzione e rispetto.
Il benessere delle proprie persone può diventare anche un tema di comunicazione, interna ed esterna?
Il benessere prima si pratica e poi si comunica. Infatti, solo se è autentico può diventare condivisione e racconto. Le aziende dovrebbero partire dall’ascolto, dalla trasparenza, dalla coerenza tra ciò che promettono e ciò che fanno. La comunicazione interna deve essere uno spazio di relazione, non solo di informazione: serve a costruire fiducia, a dare voce alle persone, a condividere successi e difficoltà. Quella esterna, invece, dovrebbe essere una finestra aperta sulla cultura aziendale, non una vetrina patinata.
Raccontare il benessere significa mostrare anche le sfide, i cambiamenti, i passi avanti e quelli ancora da compiere. Solo così si costruisce una reputazione solida e credibile, capace di attrarre talenti e creare senso di appartenenza.
Per concludere, guardiamo lontano: nel futuro del lavoro che immagini, come sarà il rapporto tra persona e azienda?
Immagino un futuro in cui il lavoro sarà un luogo di senso, non solo di esecuzione e produzione. Dove le persone non saranno più “risorse”, ma soggetti con voce, bisogni e desideri. Le aziende dovranno diventare contesti abilitanti, capaci di accogliere l’interezza dell’individuo. Perché il lavoro non è solo contratto, è relazione. E le relazioni si costruiscono con cura.
Il futuro del lavoro sarà segnato dalla capacità di integrare vita e lavoro in modo armonico, di valorizzare le diversità, di promuovere benessere e crescita continua. Solo così potremo dire davvero “basta lavorare così” e costruire insieme un nuovo equilibrio, più umano e sostenibile, tra ciò che siamo e ciò che facciamo.
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